Infarto, individuare chi è davvero a rischio
Al via al Monzino Epifania, il primo studio clinico per classificare il rischio di infarto
Come prevedere se una persona svilupperà un infarto, o un'altra cardiopatia, nel corso della sua vita? Vuole scoprirlo il nuovo studio clinico Epifania, appena avviato al Centro Cardiologico Monzino. Grazie a un approccio combinato tra Tac coronarica e biomarcatori genomici, una squadra di cardiologi, radiologi, emodinamisti e ricercatori del Monzino, individuerà le caratteristiche radiologiche, molecolari o genomiche che identificano precocemente i soggetti a maggior rischio di sviluppare un infarto a medio-lungo termine, all’interno di un gruppo preselezionato. Lo studio punta a ricercare nel sangue di persone senza precedenti infarti o rivascolarizzazioni coronariche, ma nelle quali la Tac abbia evidenziato una malattia aterosclerotica coronarica iniziale, uno o più marker, o “firme” molecolari, da associare al quadro evidenziato dalla Tac. Grazie ai marcatori individuati, potrebbe diventare possibile identificare questi pazienti “a rischio” con un semplice esame del sangue. Epifania durerà cinque anni e recluterà 1.000 pazienti Monzino.
L’idea dello studio “Epifania” nasce da un problema clinico reale e sempre più frequente: come comportarci con persone del tutto prive di sintomi, ma con documentazione di iniziale malattia delle coronarie?
Coronarie malate oggi, non sempre significa infarto domani
«A partire da un substrato apparentemente identico -spiega Paolo Ravagnani, cardiologo dell’Unità Operativa 2 di Cardiologia interventistica- il processo aterosclerotico delle coronarie, che porta alla loro progressiva occlusione, può durare decenni e manifestarsi clinicamente in modalità molto diverse. Ci sono individui, anche di età avanzata, che mai hanno avvertito e mai avvertiranno sintomi. In altri casi la malattia si sviluppa in modo progressivo fino a provocare angina, cioè una malattia cronica, ma relativamente benigna. Altri pazienti invece vanno incontro a eventi gravi, come l’infarto, o addirittura fatali, come la morte improvvisa. La domanda centrale a cui vogliamo dare riposta con i risultati dello studio dunque è: come possiamo sapere se una persona, che oggi ha una lesione coronarica iniziale e silente, domani svilupperà qualche forma di malattia cardiaca? Quale sarà allora - se mai ci sarà - la sua prima manifestazione clinica? Epifania, dal termine greco, significa esattamente questo: prima manifestazione».
Distinguere le diverse forme di aterosclerosi in laboratorio
«Al Monzino abbiamo già condotto uno studio, che sarà presto pubblicato, di confronto tra il paziente infartuato e il paziente con angina stabile e indicazione alla rivascolarizzazione -dichiara Gualtiero Colombo, Responsabile dell'Unità di Immunologia e Genomica Funzionale-. Abbiamo scoperto che in questi pazienti le due forme di aterosclerosi sono diverse dal punto di vista molecolare ed è possibile distinguerle. Possiamo quindi presumere che esistano, appunto, delle “firme” molecolari che caratterizzano diversi sottotipi di malattia coronarica e che, se identificate, ci permettano di prevederne le differenti evoluzioni. È anche a partire da questo razionale che è stato disegnato il Progetto Epifania».
...e con la TAC
«Abbiamo di recente dimostrato -commenta Daniele Andreini, Responsabile dell’Unità Operativa Tac Cardiovascolare- che con un test non invasivo come la Tac coronarica siamo già oggi in grado non soltanto di evidenziare una stenosi coronarica, ma anche di studiarla in modo approfondito. Riusciamo infatti a ottenere indicazioni sul contenuto della placca (lipidi, calcio, entrambi) e a valutarne sia la volumetria sia determinate caratteristiche più raffinate, dalle quali è possibile ricavare una prospettiva del rischio a lungo termine di sviluppare un evento coronarico acuto».
«Molti studi -continua Andreini- dimostrano infatti che statisticamente un paziente su cinque in cui la Tac evidenzi la presenza di placche aterosclerotiche a uno stato precoce di sviluppo, va incontro a un evento cardiologico grave nel medio periodo. Ma oggi non abbiamo gli strumenti per sapere chi sarà quell’uno che si ammalerà. Questo si traduce quasi inevitabilmente in un eccesso di indagini diagnostiche e di provvedimenti terapeutici a carico di persone che potrebbero in realtà non avere necessità di un approccio così aggressivo».
«Non tutte le placche coronariche sono uguali -conclude Elena Tremoli, Direttore Scientifico del Centro Cardiologico Monzino- e non tutte conducono a un evento cardiovascolare. Il nostro obiettivo con Epifania è riuscire a classificare il rischio di eventi coronarici dei pazienti con placche iniziali sulla base di indicatori prognostici personalizzati, per poter intervenire con programmi di prevenzione mirata. Ad alcuni si consiglierà un certo stile di vita, ad altri controlli più ravvicinati, ad altri ancora una terapia. Siamo quindi nell’ambito della Medicina di Precisione, che cambia il paradigma della cura e della prevenzione: i trattamenti per tutti dovranno progressivamente sparire, per lasciare spazio a interventi specifici per chi ne ha davvero bisogno».