Prevenzione di precisione: a ciascuno la sua prevenzione ​

Ciascuno di noi ha un "profilo" individuale, una personalità e delle caratteristiche uniche, che contribuiscono a determinare una diversa suscettibilità al rischio cardiovascolare. Per essere ancora più efficace, la prevenzione deve dunque essere personalizzata. Ovvero di precisione.

A tutt’oggi, per sapere se una persona debba intraprendere delle misure preventive e quali debbano essere tali misure, il medico non può far altro che individuare una probabilità di rischio: basso, intermedio o alto, in funzione di soglie stabilite arbitrariamente, basandosi su alcune caratteristiche individuali della persona stessa (età, sesso, pressione arteriosa, abitudine al fumo, presenza di diabete, livello di lipidi nel sangue).

In pratica, se mi viene riconosciuto un 25% di rischio (valore considerato elevato), ciò vuol dire che su 100 persone con una combinazione di fattori di rischio simili alla mia, 25 persone (ma non necessariamente io) saranno colpite da un evento entro i prossimi 10 anni. Le altre 75, che pure hanno le mie stesse caratteristiche, saranno “graziate”. Dunque, sapere che il mio rischio è pari al 25%, mi dice qualcosa di molto utile in generale per intraprendere misure volte a ridurre questo rischio, ma non mi spiega se sarò proprio io oppure no quello che subirà un infarto o un ictus.

Al contrario, se il mio rischio è basso, non vuol dire che io sia al riparo da eventi. Per esempio, se il mio rischio è del 5%, significa che 5 persone con una combinazione di fattori di rischio simile alle mie andranno incontro a un infarto o a un ictus nei prossimi 10 anni (e una di queste potrei benissimo essere io). Anzi, dato che statisticamente le persone a rischio elevato sono molto meno numerose di quelle a rischio basso o intermedio, è proprio tra queste ultime che, paradossalmente, si conta il maggior numero assoluto di eventi cardiovascolari in qualsiasi popolazione.

Oltre al piccolo numero di caratteristiche individuali di cui conosciamo la relazione con il rischio cardiaco (età, sesso, pressione arteriosa, abitudine al fumo, presenza di diabete, livello di lipidi nel sangue), vi sono altri aspetti che contribuiscono a caratterizzare con maggior precisione ogni singola persona (il patrimonio genetico, certamente, ma anche l’ambiente familiare e sociale, lo stile di vita, il lavoro e la situazione economica, lo status psicologico e la condizione clinica, i parametri biochimici, ecc). Quello che la ricerca ancora non sa è se e in quale misura ciascuno di questi aspetti aumenta o riduce il rischio cuore di quella singola persona.

E la mancanza di informazioni più precise sulle caratteristiche “personali”, costringe il medico a prescrivere interventi preventivi, spesso anche farmacologici, a una maggioranza di persone che magari non avrebbero comunque sviluppato eventi cardiovascolari nel corso della vita. Con conseguenze non solo sanitarie ed etiche, ma anche economiche.

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