L’uso protratto di FANS ad alte dosi aumenta il rischio di insufficienza cardiaca
I risultati di un ampio studio statistico sui dati provenienti da quattro paesi europei, coordinato dall’Università di Milano Bicocca.
Uno studio internazionale, – coordinato dall'Unità di Biostatistica, Epidemiologia e Sanità Pubblica dell’Università Bicocca di Milano, con l'Istituto Leibniz di ricerca di prevenzione ed epidemiologia di Brema, in Germania, il Dipartimento di Informatica Medica, dell’Erasmus University Medical Centre di Rotterdam, Paesi Bassi, e con la ASL di Cremona, e pubblicato di recente sul British Medical Journal, – mette in guardia sull’uso protratto dei FANS, che sarebbe correlato con un aumento del rischio di problemi cardiaci e di ricoveri ospedalieri per cause cardiovascolari fino al 19%.
Lo studio, caso-controllo, ha utilizzato i dati di oltre 37 milioni di persone provenienti da cinque banche dati cliniche di quattro paesi europei (Olanda, Italia, Germania e Regno Unito) con diverse finestre temporali di disponibilità dei dati tra il 1999 e il 2010. In particolare, l’assunzione regolare dei FANS diclofenac, ibuprofene, indometacina, ketorolac, naproxene, nimesulide e piroxicam, o di due COX 2 (etoricoxib e rofecoxib) è risultata associata a un aumentato rischio di ricovero ospedaliero per insufficienza cardiaca. E il rischio di ricovero raddoppia se i farmaci sono assunti a dosaggi molto elevati. Va ricordato, però, che lo studio potrebbe non aver preso in considerazione tutti i FANS, perché alcuni di questi (per esempio l'ibuprofene, sono OTC in tutti e quattro i paesi analizzati).
L’importanza dello studio consiste soprattutto nel fatto che, avendo utilizzato fonti di dati provenienti da diversi paesi europei, è stato possibile confrontare il rischio riferibile direttamente ai singoli farmaci così come questi sono impiegati nei diversi sistemi sanitari, indipendentemente dalle abitudini prescrittive o dai comportamenti esterni. Per ciascun FANS, l’aumento del rischio potrebbe dipendere da una complessa interazione tra caratteristiche farmacologiche, durata ed entità dell’inibizione piastrinica, grado di aumento della pressione sanguigna, e le proprietà specifiche della molecola.
Sarebbe auspicabile, afferma Giovanni Corrao, coordinatore dello studio, che i medici del territorio e le strutture sanitarie di base fossero informati di tale correlazione e raccomandassero accurate stime del rischio di insufficienza cardiaca in pazienti che devono assumere continuativamente alte dosi di FANS.
Lo studio riguarda in particolare le persone che ‘vivono’ di antinfiammatori: è l’uso cronico e prolungato ad aumentare il rischio. Le persone più in là con l’età, che più spesso soffrono di dolore cronico, andrebbero trattate il più possibile con farmaci diversi dai FANS. Si può pensare, per esempio, a piccole dosi di cortisone o ad alternative come la ionoforesi o altre terapie con il calore. Solo nei casi più seri, dove non vi siano alternative valide, vanno usati gli antinfiammatori non steroidei, i quali, se non sono da mettere all’indice, non vanno neppure assunti troppo alla leggera. E anche i medici di Medicina generale devono tener conto del rischio, anche più del paziente stesso.
Riferimenti
- Arfè A et al. Non-steroidal anti-inflammatory drugs and risk of heart failure in four European countries: nested case-control study. BMJ. 2016 Sep 28;354:i4857. doi: 10.1136/bmj.i4857. Vai allo studio