News

Test non invasivi di imaging: da utilizzare in modo selettivo, ma spesso indispensabili

Scegliere il test in base alle opportunità tecniche e alle condizioni cliniche del paziente

26 Marzo Mar 2014 0000 11 years ago
  • Mauro Pepi
Un recente studio statunitense, – condotto su 550 mila pazienti da 224 diversi Centri per documentare le differenze inter-ospedaliere nell’uso di imaging cardiaco non invasivo e l'associazione tra tale uso e i test, gli interventi e gli esiti – ha mostrato che il ricorso a test non invasivi di imaging in pazienti con sospetta ischemia varia in misura cospicua da un ospedale all’altro (da 0,2% a 55,7%). Secondo le conclusioni degli Autori, i Centri con tassi più elevati di imaging non mostrano significative differenze, rispetto ad altri Centri, nei tassi di interventi a valle o nei tassi di riammissione per IMA.

L’argomento dello studio – spiega Mauro Pepi, Coordinatore Area Imaging Cardiovascolare del Monzino – è tema di dibattiti da molti anni e i dati riportati, anche se interessanti, non sono chiari e persino contraddittori rispetto al pensiero corrente. In Pronto Soccorso, in presenza di dolore toracico per cui possa essere sospettata un’origine cardiaca, diviene infatti fondamentale conoscere il protocollo che ha portato alla decisione di utilizzare o meno test diagnostici, e definire quindi l’outcome. Tutte le principali linee guida concordano ovviamente sull’indiscutibile utilità di ECG ripetuti e di analisi (troponina) a tempi cadenzati dall’insorgenza del dolore, e sulla necessità di ricorrere a esami diagnostici non invasivi o invasivi in ragione della condizione clinica del paziente, dell’organizzazione e delle disponibilità diagnostiche e della probabilità di rischio cardiovascolare del paziente.

Il lavoro dell’Università di Yale, – continua Mauro Pepi – più che apportare dati conoscitivi sul miglior iter diagnostico in questi casi, è una fotografia (importante e rilevante per la mole di dati) di oltre 500.000 casi raccolti in molti Centri americani. Le conclusioni sono interessanti, ma molto discutibili. Il fatto che iter diagnostici del tutto dissimili (e non standardizzati) e con netta prevalenza della scintigrafia miocardica (90%) come test di secondo livello non portino a sicuri vantaggi rispetto ai casi nei quali i test non sono stati eseguiti non permette alcuna chiara conclusione. Persino gli Autori indicano questi aspetti come rilevanti limiti dello studio. Altri importanti studi hanno infatti concluso che, certamente, in termini di rapporto costo/beneficio i test diagnostici non invasivi e invasivi vanno eseguiti in modo molto selettivo, ma che in molte circostanze sono indispensabili.

In particolare, l’esecuzione di test di ricerca di ischemia (eco-stress, scintigrafia, RMN stress) è risultata utile nella scelta di eseguire in modo mirato il test invasivo (coronarografia ed eventuale angioplastica) o di escludere la patologia (dimettendo il paziente). Inoltre, sono ormai decine gli studi che in modo definitivo hanno definito l’importanza della TAC coronarica nell’escludere la patologia (evitando altri test o il ricovero e permettendo una dimissione precoce) o nell’indentificarla. Come noto pur a fronte di questi dati la TAC coronarica non è un esame semplice, necessita di competenze elevate e di fatto è lontana dall’uso routinario. Quando eseguita non solo definisce presenza/assenza di patologia coronarica, ma anche la possibile diagnosi di dissezione aortica e embolia polmonare. In questi ultimi ambiti, può essere utile anche l’ecocardiografia transtoracica (test semplice e disponibile a riposo e da stress) e in tutte le nuove Linee Guida se ne raccomanda l’impiego in presenza di dolore e instabilità emodinamica (in casi selezionati è bene raccomandarla anche in assenza di instabilità emodinamica).

In definitiva, – conclude Pepi – i dati dello studio non devono portare alla conclusione che i test diagnostici non invasivi non siano utili. Questi vanno eseguiti certamente in modo molto selettivo, scegliendo il test in base a opportunità tecniche (logistiche) e soprattutto nei casi nei quali esista una discrepanza tra la normalità dei dati standard (ECG, enzimi miocardici) e il sospetto clinico.

Fonti:
Krumholz HM et al. Hospital Variation in the Use of Noninvasive Cardiac Imaging and Its Association With Downstream Testing, Interventions, and Outcomes. JAMA Intern Med. 2014 Feb 10.
Vai all'abstract